Abuso di Antibiotici: Resistenza e Rischi di C. difficile

Abuso di Antibiotici: Resistenza e Rischi di C. difficile

Se hai mai preso un antibiotico per un raffreddore o un mal di gola che non era batterico, sei stato parte del problema. Non sei un cattivo paziente: sei vittima di un sistema che da decenni ha normalizzato l’uso improprio di questi farmaci. E ora, il conto sta arrivando.

Perché gli antibiotici non funzionano più come prima

Gli antibiotici sono stati uno dei maggiori successi della medicina del XX secolo. Negli anni ’40, un’infezione da stafilococco poteva essere letale; oggi, con un semplice ciclo di penicillina, la maggior parte delle persone guarisce in pochi giorni. Ma quel vantaggio sta svanendo. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2023 uno su sei casi di infezione batterica confermata in laboratorio era resistente agli antibiotici di prima scelta. In alcune regioni del mondo, come il Sud-Est asiatico, la percentuale sale a uno su tre.

La ragione è semplice: i batteri si evolvono. Quando usiamo antibiotici in modo sbagliato - troppo spesso, per troppo tempo, o per infezioni virali - non uccidiamo tutti i batteri. Quelli più resistenti sopravvivono, si riproducono, e passano il loro DNA “difensivo” ai discendenti. Entro pochi anni, l’antibiotico che una volta curava un’infezione diventa inutile. E non è un problema lontano: in Italia, il 35% delle infezioni da Staphylococcus aureus è già resistente alla meticillina (MRSA), e il 42% delle infezioni da Escherichia coli non risponde più ai cefalosporini di terza generazione.

C. difficile: l’infezione che nasce dalla distruzione del tuo intestino

Quando prendi un antibiotico, non colpisci solo i batteri cattivi. Distruggi anche i batteri buoni che vivono nel tuo intestino, quelli che ti aiutano a digerire, a produrre vitamine e a tenere a bada i patogeni. Tra questi batteri buoni c’è un gruppo fondamentale che impedisce a Clostridioides difficile (C. difficile) di prendere il sopravvento.

Quando gli antibiotici spazzano via questi batteri protettivi, C. difficile - un microbo che può vivere nascosto nel tuo intestino da anni - si moltiplica senza controllo. Produce tossine che attaccano la parete intestinale, causando diarrea violenta, febbre, dolore addominale e, nei casi più gravi, perforazioni intestinali e morte. Negli Stati Uniti, nel 2017, C. difficile ha causato quasi mezzo milione di infezioni e 29.000 morti. Anche se i dati italiani sono meno completi, gli ospedali segnalano un aumento costante di casi legati all’uso di antibiotici, soprattutto dopo ricoveri prolungati o terapie con farmaci come clindamicina, fluoroquinoloni e cefalosporine.

La cosa più preoccupante? C. difficile non è un’infezione rara. È la causa più comune di diarrea associata agli antibiotici. E una volta che la sviluppi, è difficile da curare. Spesso servono antibiotici più forti, che a loro volta rischiano di peggiorare il danno. In alcuni casi, i medici devono ricorrere a trapianti di microbiota intestinale - una procedura che consiste nel trasferire batteri sani da un donatore al paziente - per ripristinare l’equilibrio dell’intestino.

Chi ne paga il prezzo più alto

Non è solo una questione di “chi prende troppi antibiotici”. Il problema è sistemico. Negli ospedali, dove gli antibiotici vengono usati in modo massiccio per prevenire infezioni post-chirurgiche o per trattare pazienti immunodepressi, i tassi di C. difficile sono fino a 10 volte più alti che nella comunità. Ma non è solo l’ospedale. Negli allevamenti, negli ultimi 50 anni, gli antibiotici sono stati somministrati a milioni di animali per farli crescere più velocemente o per prevenire malattie in condizioni di sovraffollamento. Questi farmaci finiscono nell’ambiente - nell’acqua, nel suolo, nei cibi - e arrivano sulle nostre tavole, anche se non li assumiamo direttamente.

E poi ci sono i paesi con sistemi sanitari fragili. In molte zone del mondo, non c’è modo di sapere se un’infezione è batterica o virale. I medici, per paura di lasciare un paziente senza cura, prescrivono antibiotici “per sicurezza”. Questo approccio empirico, sebbene comprensibile, alimenta la resistenza a un ritmo vertiginoso. In Africa, dove le risorse sono scarse, il 40% delle prescrizioni di antibiotici è inutile. Eppure, senza diagnosi rapide e accesso a test di laboratorio, non c’è alternativa.

Ospedale trasformato in giungla di antibiotici giganti, con batteri resistenti che si muovono tra medici e pazienti in stile alebrije.

Il crollo dei progressi fatti durante la pandemia

Negli anni 2012-2019, negli Stati Uniti, si era riusciti a ridurre del 30% le infezioni resistenti negli ospedali. Si stava vincendo la battaglia. Poi è arrivata la pandemia di COVID-19. Con i reparti stracolmi, il caos nei protocolli, la paura di contagi, gli antibiotici sono stati somministrati a massa: a pazienti con polmonite virale, a chi aveva solo febbre, a chi non aveva nemmeno un’infezione batterica. I risultati? Tra il 2020 e il 2022, le infezioni resistenti sono aumentate del 20% negli ospedali americani. È stato un passo indietro di dieci anni in due.

In Italia, i dati sono meno trasparenti, ma gli infettivologi segnalano un aumento delle infezioni da batteri resistenti, soprattutto nei reparti di terapia intensiva. Una dottoressa di Padova, che segue pazienti con infezioni da Klebsiella pneumoniae resistente ai carbapenemi - gli antibiotici di ultima istanza - racconta di casi in cui non c’è più nulla da fare. “A volte - dice - dobbiamo dire a una famiglia che non abbiamo più armi. E non è un fallimento clinico. È un fallimento collettivo.”

Perché le nuove medicine non arrivano

La soluzione sembrerebbe semplice: sviluppare nuovi antibiotici. Ma non è così. Le aziende farmaceutiche non investono in nuovi antibiotici perché non sono profittevoli. Un farmaco per l’ipertensione viene preso ogni giorno per anni. Un antibiotico? Viene usato per 7-10 giorni e poi si smette. Inoltre, i nuovi antibiotici vengono riservati come ultima risorsa, proprio per evitare che i batteri diventino resistenti. Risultato? Le aziende non guadagnano abbastanza per coprire i costi di ricerca.

Per questo, progetti come CARB-X - una partnership globale con fondi da 480 milioni di dollari - cercano di sostenere lo sviluppo di nuovi farmaci. Ma finora, su 118 progetti avviati, solo pochi sono arrivati alla fase clinica. E anche quando arrivano, ci vogliono 10-15 anni per metterli a disposizione dei pazienti. Nel frattempo, i batteri continuano a evolversi più velocemente di quanto possiamo creare nuovi farmaci.

Cosa puoi fare - e cosa non puoi fare

Non puoi curare la resistenza da solo. Ma puoi smettere di alimentarla.

  • Non chiedere antibiotici per il raffreddore o l’influenza. Sono causati da virus. Gli antibiotici non funzionano. Se il medico non li prescrive, non è un rifiuto: è un atto di cura.
  • Prendi gli antibiotici solo se prescritti e seguili fino alla fine. Anche se ti senti meglio dopo 3 giorni, finisci il ciclo. I batteri più deboli sono morti, ma quelli più resistenti no. Se interrompi, loro sopravvivono.
  • Non usare antibiotici avanzati senza prescrizione. Non comprare antibiotici online o da amici. Non usare quelli avanzati da vecchie ricette.
  • Chiedi se il test è necessario. Se hai un’infezione urinaria o una polmonite, chiedi: “Possiamo fare un tampone o un esame del sangue prima di prescrivere l’antibiotico?”
  • Preferisci alimenti da allevamenti senza antibiotici. Scegli carne e latte certificati “senza antibiotici” o provenienti da agricoltura biologica. È un modo per ridurre l’inquinamento ambientale da farmaci.
Famiglia a cena circondata da animali simbolici che rappresentano antibiotici nell'agricoltura, in stile alebrije colorato.

Il futuro è già qui - e non è ottimista

Gli esperti avvertono: se non cambiamo rotta, entro il 2050 le infezioni resistenti potrebbero uccidere 10 milioni di persone all’anno - più del cancro. Il costo economico globale potrebbe superare i 100 trilioni di dollari. Non è una fantascienza. È una proiezione basata sui dati di oggi.

In Italia, dove l’uso di antibiotici è ancora superiore alla media europea, la situazione è critica. Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2023 il 32% dei pazienti ospedalizzati ha ricevuto almeno un antibiotico, e quasi la metà di queste prescrizioni non era giustificata da una diagnosi batterica confermata.

Non serve un miracolo. Serve consapevolezza. Serve coraggio. Serve che medici, pazienti, politici e agricoltori smettano di trattare gli antibiotici come un prodotto di consumo, e li ripensino come un bene comune - come l’acqua pulita o l’aria respirabile. Perché quando li spreciamo, non stiamo solo perdendo un farmaco. Stiamo perdendo la possibilità di curare le infezioni più semplici. E un giorno, una ferita da taglio, un parto, un intervento chirurgico, potrebbero diventare una sentenza di morte.

Le domande più comuni

Gli antibiotici fanno male se li prendo senza bisogno?

Sì. Prendere antibiotici quando non servono non ti fa bene, ma danneggia la tua flora batterica e aumenta il rischio che tu sviluppi un’infezione da C. difficile o che i batteri nel tuo corpo diventino resistenti. Questo significa che, la prossima volta che avrai davvero bisogno di un antibiotico, potrebbe non funzionare.

C. difficile è contagiosa?

Sì. C. difficile si diffonde attraverso le feci. Se una persona infetta non si lava bene le mani dopo essere andata in bagno, può contaminare superfici, cibi, oggetti. Gli ospedali hanno protocolli rigorosi per disinfettare le camere e le attrezzature, ma in casa, se qualcuno ha avuto una infezione da C. difficile, è importante pulire con prodotti a base di candeggina e lavarsi le mani con cura.

I probiotici possono prevenire C. difficile?

Alcuni studi suggeriscono che certi probiotici, come il Lactobacillus rhamnosus GG o il Saccharomyces boulardii, possono ridurre leggermente il rischio di C. difficile nei pazienti che assumono antibiotici, specialmente in ospedale. Ma non sono una garanzia. Non sostituiscono un uso corretto degli antibiotici. Parla sempre con il tuo medico prima di prenderli.

Perché i medici prescrivono ancora antibiotici inutili?

Perché è più facile prescriverli che spiegare perché non servono. I pazienti chiedono, i medici sono sotto pressione, i tempi sono stretti. Ma la situazione sta cambiando. Negli ospedali italiani, i programmi di stewardship antibiotica stanno formando i medici a prescrivere solo quando necessario. È un processo lento, ma necessario.

Esistono alternative agli antibiotici?

Alcune terapie sperimentali stanno emergendo: i batteriofagi (virus che uccidono solo i batteri), gli anticorpi monoclonali e i peptidi antimicrobici. Ma sono ancora in fase di studio. Non sono disponibili su larga scala. Per ora, l’unica alternativa efficace è usare meglio gli antibiotici che abbiamo, non cercarne di nuovi.

Cosa fare ora

Se hai preso antibiotici di recente, chiediti: “Per cosa li ho presi? Era davvero un’infezione batterica?” Se non lo sai, parla con il tuo medico la prossima volta. Se hai un figlio che ha avuto una diarrea dopo un ciclo di antibiotici, non ignorarla. Potrebbe essere C. difficile.

La resistenza agli antibiotici non è un problema lontano. È qui. È nei nostri ospedali, nei nostri bambini, nei nostri genitori. E la soluzione non è tecnologica: è culturale. Serve che tutti capiscano che un antibiotico non è un caramello. È un’arma potente. E come tutte le armi, va usata con rispetto, con prudenza, e solo quando non c’è altra scelta.